Breve storia del fritto in Italia

Quando pensiamo al fritto una delle prime pietanze a venirci in mente è il supplì con il suo cuore filante, una sorpresa gustosa che batte 6-0 6-0 qualsiasi regalino del noto uovo di cioccolato.
Non parliamo di sorpresa a caso quando ci riferiamo al ripieno del supplì, il nome stesso infatti deriverebbe dal francese surprise, sorpresa appunto, così come lo chiamavano i soldati francesi che occupavano Roma nell’ottocento. La storpiatura di surprise in surprisa, suppriva, supprì si è radicata infine nel termine supplì.
Insomma, a Roma questa palla di riso ripiena di mozzarella è una vera e propria istituzione, così come lo è il fritto in generale e fa specie pensare che nei primi secoli dopo Cristo fra i Romani questo metodo di cottura non fosse molto popolare, tanto che le pietanze fritte nel miele cotto, o in una miscela di olio e vino o olio e acqua, una volta pronte venissero innaffiate dal liquido di cottura per ammorbidirle, alla faccia della croccantezza.
È soltanto con il Medioevo che la frittura ha preso piede in Italia, principalmente presso le classi più abbienti che utilizzavano i grassi di derivazione animale per friggere carne e verdure, ma è interessante notare che proprio intorno al VI secolo con la discesa in Italia dei Longobardi ha avuto origine, direttamente da un piatto povero che stava alla base dell’alimentazione contadina, un’ altra pietanza tipica della cucina italiana: lo gnocco fritto.
Ai Longobardi dobbiamo molto, non solo l’introduzione di vocaboli splendidi poi passati in italiano come spranga, spaccare, arraffare e zuffa (professor Barbero ti vogliamo bene) ma anche l’aver portato nel nostro paese l’uso dello strutto, l’ ingrediente principe dello gnocco fritto. Così, sull'esempio longobardo anche i contadini della bassa padana del VI secolo hanno iniziato a usare lo strutto nella preparazione del pane, il che consentiva loro di arricchire di nutrienti una pietanza altrimenti povera. La rapida diffusione dell’impiego dello strutto in tutta la zona ha contaminato la cucina locale fino a far diventare questo antenato dello gnocco fritto l’alimento principale nella dieta del popolo padano.
Oggi esistono diverse varianti dello gnocco fritto, tra le quali quella che potete assaggiare tutte le sere al Tabernario.
 
Sempre in tema di piatti poveri, che poi poveri non sono, è d’obbligo citare la pizza fritta, nata nei vicoli di Napoli nel secondo dopoguerra dall’ingegno di chi cercava la maniera di ovviare alla scarsità di mezzi e ingredienti per realizzare la classica pizza tonda. Preparata per strada grazie a un bombolone di gas e una pentola d’olio, la pizza fritta è oggi un’icona della cucina non solo partenopea.
 
Ma un viaggio in Italia inseguendo il profumo del fritto non poteva che terminare in Liguria, patria di un’altra pietanza meravigliosa che anche noi al Tabernario proponiamo con successo ogni sera: le alici fritte.
Il pesce azzurro in passato era un po’ il pesce del popolo e in particolare le alici (o acciughe) erano per i pescatori del Tirreno un pesce ottimo per la conservazione nel tempo, sotto sale e sott’olio, ma che allo stesso tempo poteva essere consumato fresco e fritto nelle occasioni di festa.
La cura e il rispetto che mettiamo in ogni alicetta che immergiamo nell’olio non è solo per darvi un prodotto buono sotto tutti gli aspetti, ma è anche una forma di riguardo nei confronti di una storia che dura ancora oggi ma che non dovrebbe mai smettere di insegnarci la cura per la sostenibilità e l’amore per ciò che dalla terra e dal mare prendiamo e che non andrebbe mai sprecato o svilito.
 
Insomma, se non l’avete ancora capito, noi siamo di quelli che amano l’odore del fritto di prima mattina, ma soprattutto a noi piace abbinare a uno gnocco o a qualche alicetta un buon bicchiere di vino, come il Sauvignon di Moreno Ferlat, scelta sempre azzeccatissima che farà felice il vostro palato e la vostra anima ogni volta che ordinerete un fritto al Tabernario.
 
Le nostre friggitrici fremono e sono sempre cariche a pallettoni...
 
bonus track
 
(se non friggi l'ultima noi non ce ne andiamo)
Last but not least, anzi ne parliamo qui in fondo quasi fosse un post scriptum dedicato a chi ha avuto la pazienza di leggere tutto l'articolo: elogio della patata di Avezzano.
Non possiamo infatti, in tema di fritti, non dedicare una menzione d'onore alla mitica Patata di Avezzano, il segreto che rende le patatine fritte che sgranocchiate al Tabernario sempre croccanti e gustose.
Sembrerà banale ma per fare una patatina fritta buona ci vuole la patata buona.
E la patata di Avezzano in questo senso è imbattibile grazie alla sua particolare conformazione che le permette di trattenere pochissima acqua una volta immersa nella friggitrice e di cuocere quindi in maniera uniforme e profonda, perché rimanendo molto asciutta evita che si formi quella patina di zucchero che impedisce al calore di arrivare in profondità. Insomma, lé propi büna..
 
Come dire, non stiamo parlando esattamente delle patatine surgelate...

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