Perché il vino al ristorante costa sempre di più

Al Tabernario, lo sapete, ci piace frequentare i due lati del bancone: siamo amanti entusiasti di vino, birre artigianali e tutto ciò che c'è intorno, non solo durante l'orario di lavoro ma anche (e forse ancora di più) quando possiamo vestire i panni del cliente. Avendo quindi l'opportunità di frequentare quasi ogni giorno i due lati della barricata, o meglio del bancone, ci troviamo spesso a fare i conti con un quesito che ci viene posto con regolarità e che a nostra volta ci troviamo a domandare: perché il vino al ristorante costa sempre di più?

Oggi proviamo a chiarirci le idee e a raccontarvi la nostra.

 

Ricarichi

Il primo tema che salta all'occhio anche ai non addetti ai lavori è quello dei ricarichi, una tendenza ormai fuori controllo secondo Cristiana Lauro de Il Sole 24 Ore che nei mesi scorsi ha fatto notare come il ricarico su una bottiglia ordinata al ristorante possa arrivare fino al 400% senza giustificazioni valide.

Il costo di una bottiglia di vino al ristorante in Italia è spesso pari a quello applicato da paesi e mercati molto differenti dal nostro, come Emirati Arabi e Cina, che però a fronte di ricarichi e 2 zeri, devono sostenere costi di importazione, dazi e quant'altro. Secondo Lauro, la pratica di gonfiare i prezzi al pari dei paesi citati sopra non è dannosa solo alle tasche dei consumatori, ma soprattutto lo è per l'intero settore del vino italiano, che non ne esce più valorizzato e anzi rischia di vedere ridotta, anziché aumentata, la propria platea di consumatori. 

E se dalla bottiglia spostiamo l'attenzione al calice servito alla mescita, ecco che questa contraddizione risulta ancora più grande del ricarico applicato.

Dal punto di vista del ristoratore la risposta, che peraltro non è dovuto a dare, a questi ricariconi gira sempre intorno al tema dell'aumento dei prezzi: aumenta tutto, il costo delle materie prime, le spese legate all'energia eccetera e quindi, ca va sans dire, tutto questo va a ricadere anche sul costo finale del vino servito al cliente.

C'è però un bel distinguo da fare a questo punto, se è vero che l'aumento di tutto è una realtà che viviamo in prima persona, non dobbiamo perdere di vista che il vino è un prodotto finito, che ha dei costi ben precisi di produzione e filiera e che andrebbe valorizzato da chi lo vende, sapendolo vendere, raccontandolo, spiegandolo, senza far passare il messaggio che il suo valore intrinseco sia legato soltanto al prezzo di vendita. Il nostro lavoro, di noi che ci diamo da fare nel mondo del vino, dovrebbe essere quello di dare il giusto valore a ogni bottiglia, per venderne una in più al prezzo corretto e non tre in meno con un ricarico ingiustificato.

Se mai quelli che sono i costi di gestione, spesso altissimi, potrebbero essere fatti ricadere sui piatti, che non sono dei prodotti finiti, ma il culmine di un percorso di ricerca e lavorazione e il motivo per cui ci sediamo in quel determinato posto a mangiare invece che da un'altra parte.

 

Abbinamenti

Un altro aspetto da prendere in considerazione quanto ci si chiede perché il vino al ristorante costi sempre di più è quello degli abbinamenti.

Innanzitutto la pratica granitica dell'abbinamento vino rosso carne, vino bianco pesce, riteniamo sia ampliamente superata e che quindi a guidare nella scelta di un vino debba essere il gusto, si spera condito da competenza, di chi ordina, o, ancora meglio, la preparazione del sommelier o della persona alla quale ci affidiamo per farci guidare nella scelta.

Capita spesso però di trovarsi a tu per tu con due grossi inghippi: il primo è quello della carta dei vini troppo ambiziosa; spesso infatti capita di non riuscire a trovare bottiglie sotto i 50 Euro in locali che a fronte di una proposta così alta in fatto di vino, non offre, per esempio, la medesima qualità nei piatti.

Il secondo inghippo è il famigerato calice abbinato a ogni portata, pratica che troviamo spesso quando si tratta di menù degustazione; detto che cambiare vino per tre o quattro volte nel corso di un pasto può sembrare figo ma non aggiunge nulla alla nostra esperienza organolettica, è facile immaginare come si tratti di una pratica antieconomica, da punto di vista del cliente, e talvolta un escamotage per spingere bottiglie che altrimenti non si venderebbero.

 

Tiriamo acqua al Mulino del Tabernario

Insomma, il tema è appassionante, e c'è dibattito, ma nella pratica come ci comportiamo al Tabernario?

Detto che se avete fatto i compiti in questi anni dovreste avere già tutte le risposte, ma comunque vale la pena sottolineare come la filosofia del Tabernario si sia basata e sviluppata nel corso del tempo anche su una gestione sensata dei ricarichi e più in generale del come scegliamo di valorizzare i prodotti e il servizio (compresa la simpatia contagiosa e la diplomazia alla Antonhy Blinken di Cacho).

La condivisione è la chiave per godere al meglio di una serata al Tabernario: vedervi condividere una pala e una bottiglia di vino per noi è sempre una vittoria, e tutto il nostro lavoro per fare sì che l'offerta sia qualitativamente bilanciata fra quello che mangiate e quello che bevete è ciò che, almeno crediamo, ci permette di offrirvi il meglio anche in termini di prezzo.

Un altro aspetto sul quale continuiamo ad investire è la Mescita, per dare la possibilità a ognuno di potere ordinare il calice che preferisce con l'idea di dare spazio, in questa formula, anche a bottiglie importanti, senza paura di aprire un Valtellina Superiore e senza il bisogno di applicare a questa scelta ricarichi astronomici, perché, e lo vediamo tutte le sere, con ottimi vini alla Mescita facciamo felici un sacco di persone.

E che cos'è il vino se non un momento di felicità? Un momento che crediamo non abbia né prezzo né bisogno di ricarichi eccessivi.

 

Salute!

 

 

 

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