Soul Kitchen, film del 2009 diretto da Fatih Akın, premio Leone d'argento - Gran premio della giuria alla 66ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. In particolare la scena del cliente che chiede allo chef un gazpacho caldo. Quale chef non ha mai sognato di potersi permettere - almeno una volta nella vita - una sana e liberatoria reazione, una reazione che - senza coltelli alla mano - ristabilisca l’ordine e il buon senso di ciò che è lecito chiedere in cucina! Daniele Pennati, in arte Penna, chef del Tabernario, è molto più posato e tranquillo dello chef di Soul Kitchen ma a volte i suoi occhi si accendono di una strana luce. Ecco la sua cartolina dalla cucina del Tabernario per festeggiare l'autunno che inizia con una serie di “non” ma anche di punti fermi dettati da buon senso e competenza.
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Non mi piace lo stereotipo dello chef star, umorale, maniacale antipatico e prima donna. Non mi piace nemmeno attaccare con il ritornello della passione smisurata che serve per fare tutti i giorni questo lavoro. Tantomeno mi piace buttarla sul filosofico. Io cucino non faccio interventi a cuore aperto! Ho scelto fin da “pischello" questo lavoro ed è un lavoro che amo, punto! La cucina è chimica e va studiata e compresa. Mi ci sono applicato…tanto e spero che i risultati si vedano. Certo i gusti sono molto soggettivi e qualche compromesso serve e lo concedo soprattutto ai clienti che vedo più “sperduti” nella vasta landa della mancanza di cultura culinaria, di curiosità e di voglia di sperimentare le mille variabili del gusto, sì insomma quelli che pur scegliendo di andare in un’enoteca chiedono verdure al vapore e che sottolineano, non senza una punta d’orgoglio che loro “nooo…non bevono” e quindi optano per un bicchiere d’acqua. Per citare il grande Antônio Carlos Jobim a questo punto io chioso “Tristeza não tem fim…”. Ma superata la frustrazione connaturata ad ogni lavoro arrivo a me e alla mia cucina. Quel che posso dire è che oltre al cibo io cerco di mettere nei miei piatti anche i bellissimi rapporti che nel corso del tempo ho intessuto con i miei fornitori, tutti o quasi piccoli se non piccolissimi produttori locali e non che conosco personalmente, che incontro al mercato o vado a trovare nelle loro aziende, nei loro campi. C’è voluto del tempo perché si fidassero di me e quindi mi mettessero al corrente dei loro segreti per ottenere prodotti di prima qualità. Una ricchezza, a mio avviso…la vera ricchezza per chi, attraverso i propri piatti, vuole dare piacere e vuole far conoscere un territorio. Non è, infatti, la ricetta che fa un territorio ma sono gli ingredienti che fanno un territorio. L’autunno è di certo una stagione che regala una grandissima varietà di ingredienti e consente dunque di percepire parte dell’anima di una Terra. Da questo punto di vista in Valtellina siamo molto fortunati. La carne del Cesare, i funghi del Luca, le zucche e la frutta del Roberto, lo zafferano del Rossano, i pesci allevati del Roberto e quelli del lago di Como pescati dal Davide e dall’Emanuele. In questi giorni adoro in particolare proporre il cervo, una bellissima creatura, un sapore ancestrale quello delle sue tenerissime carni. Mi piace cucinarlo nel modo più semplice e naturale: rosolato in padella con un po’ di burro e dei fiocchi di sale accompagnato o dai classici porcini oppure da patate al tartufo, dai topinambur o dal sedano rapa. La carne deve essere al sangue proprio per percepirne il gusto quasi primitivo. Per i dolci e le verdure quest’anno poi ho avuto anche delle belle sorprese, nonostante il periodo ma viste le temperature c’è stata una nuova ed eccezionale buttata in Valle di fragole e di melanzane. Il chilometro zero non deve comunque essere un dogma. Tutt’altro! Ribadisco che ciò che conta è la qualità degli ingredienti, quindi, spesso acquistiamo, dopo attenta ricerca, anche da produttori di altre regioni del centro e sud Italia. Mi dedico molto anche alla trasformazione delle materie prime in modo da avere sempre a disposizione alcuni sapori da aggiungere ai miei piatti in qualsiasi stagione. La formula che abbiamo studiato per il Tabernario mi piace perché consente di giocare un po’ con il cibo e di essere liberi nelle proposte a seconda di ciò che il mercato offre in quel particolare momento. Ciò che più amo del mio lavoro è proprio l’imprevedibilità, un po’ su tutti i fronti. Dalla mia cucina acquario (che non mi piace) ogni tanto butto un occhio in sala e mi diverte leggere negli sguardi dei nostri clienti mentre portano la forchetta alla bocca. Si è fatto tardi e ho fame, adesso è il mio turno. Opterò per il mio piatto preferito di sempre (quando non esco ovviamente): pasta con patate e cipolle rosolate con il burro e una grattata di formaggio - me la faceva mia nonna - e un bel bicchiere di rosso…quasi come le verdure al vapore ;)